Sdrogabrescia

Usi e abusi

Farmacologia delle sostanze d’abuso

di Mariagrazia Fasoli

ultimo aggiornamento dicembre 2017

Tabacco

La principale sostanza responsabile della dipendenza da tabacco è la nicotina, un alcaloide estraibile dalle foglie della Nicotiana Tabacum.  Nel fumo di tabacco sono stati inoltre identificati almeno 4865 costituenti chimici alla cui azione vengono attribuite gran parte delle complicanze del tabagismo. Secondo l’ultimo documento disponibile sul sito del Ministero della Salute (fonte: Relazione sullo stato sanitario del paese 2012-2013 ), risalente al 2013, in Italia ci sarebbero 10,6 milioni di fumatori. Non abbiamo trovato dati attendibili sulla stima dei decessi prematuri imputabili al tabacco che da vari anni vengono riportati a vecchie stime intorno ai 70 -80.000 casi. Il fumo è, in ogni caso, uno dei principali fattori di rischio noti per malattie respiratorie, per neoplasie e per disfunzioni della sfera riproduttiva (come la riduzione della fertilità nei maschi e la riduzione del peso alla nascita nei bambini nati da madri fumatrici). Gli effetti farmacologici della nicotina si manifestano attraverso una complessa relazione dose/risposta sui sistemi nervoso, cardiovascolare, metabolico, endocrino, neuromuscolare. Gli effetti mentali consistono in aumento della vigilanza, miglioramento delle capacità di concentrazione, dei tempi di reazione, delle capacità di risolvere i problemi, riduzione dei sintomi depressivi e dell’irritabilità.  La somministrazione di nicotina ha effetto autorinforzante anche in non fumatori trattati per via orale, probabilmente mediato, come per le altre droghe, dall’attivazione del sistema dopaminergico mesolimbico, la via nervosa cerebrale collegata ad una serie di comportamenti fondamentali per la sopravvivenza. Agli effetti soggettivi della nicotina si sviluppa tolleranza, addirittura nel giro di poche ore: i fumatori in genere riferiscono che la prima sigaretta della giornata risulta più gradevole mentre l’effetto delle sigarette successive va progressivamente attenuandosi. La sindrome d’astinenza da tabacco (che si manifesta solo in una parte dei fumatori che smettono) può presentarsi con irritabilità, ostilità, umore depresso, insonnia, diminuzione della frequenza cardiaca e aumento dell’appetito. La smania di fumare è correlata con bassi livelli di nicotina nel sangue e ciò suggerisce che possa essere considerata, almeno in parte, un sintomo astinenziale e che il fumo serva a mantenere certe concentrazioni di nicotina nel sangue per evitare l’insorgenza di questi sintomi. La smania per il tabacco tuttavia, viene solo parzialmente ridotta dalla somministrazione di nicotina pura e può essere scatenata da fattori non mediati da questa sostanza come l’odore di fumo o la vista di altre persone che fumano Dal punto di vista medico, i criteri diagnostici per il tabagismo sono gli stessi criteri utilizzati per le altre tossicomanie.

Alcool
Le bevande contenenti alcool etilico rappresentano la “droga” più diffusa nel mondo occidentale. L’etanolo (o alcol etilico) è un depressore del sistema nervoso centrale (SNC) che interagisce con le membrane neuronali sia aspecificamente, attraverso un processo di fluidificazione, sia selettivamente, interferendo con alcuni canali ionici associati a proteine-recettori. L’effetto finale complessivo dell’alcool sul SNC può essere descritto come una disinibizione dose dipendente dei meccanismi di controllo cerebrale. Gli effetti comportamentali dell’ebbrezza alcolica, quindi, dipendono parzialmente dalla personalità e dall’umore sottostante. A bassi dosaggi prevalgono in genere gli effetti euforizzanti mentre con l’aumento dell’alcolemia si possono manifestare labilità emotiva, turbe della memoria e dell’attenzione, confusione mentale, agitazione e aggressività, sonnolenza, incoordinazione motoria e, per concentrazioni plasmatiche superiori a 300 mg/100ml, depressione respiratoria e coma. L’alcolismo cronico può associarsi ad una serie di patologie neurologiche, psichiatriche, gastroenteriche, metaboliche, neoplastiche per la cui descrizione si rimanda a testi specializzati. La sindrome d’astinenza da alcol (che si presenta solo in una parte degli alcolisti) può essere estremamente grave. Il quadro più frequente è costituito da tremori, turbe neurovegetative (sudorazione, tachicardia), digestive, (nausea, vomito, diarrea), irritabilità e iperemotività. In casi più rari possono comparire allucinazioni ed epilessia fino al delirium tremens caratterizzato da agitazione psicomotoria, psicosi, sintomi neurologici, febbre, squilibri metabolici. Rispetto all’uso moderato, da un lato vari studi avrebbero confermato che i consumatori di alcolici avrebbero una speranza di vita superiore a quella degli astemi e dei forti bevitori, dall’altro questi dati sono stati recentemente messi in discussione da revisioni sistematiche della letteratura (una metodologia che definisce a priori le caratteristiche di qualità degli studi da considerare e poi li rianalizza tutti) che considerano questo effetto un artefatto (Tim Stockwell, Jinhui Zhao, Sapna Panwar, Audra Roemer, Timothy Naimi, and Tanya Chikritzhs “Do “Moderate” Drinkers Have Reduced Mortality Risk? A Systematic Review and Meta-Analysis of Alcohol Consumption and All-Cause Mortality” Journal of Studies on Alcohol and Drugs 2016 77:2, 185-198) Le bevande alcoliche non dovrebbero essere assunte in gravidanza. E’ stata infatti descritta, dapprima in figli di madri alcoliste, una “sindrome alcolica fetale” (FAS) caratterizzata da tipiche alterazioni somatiche (taglio degli occhi, aspetto delle mani) e da ritardo mentale. Gli studi effettuati hanno poi portato alla conclusione che, sebbene la frequenza di questo genere di danno sia tanto maggiore quanto maggiore è l’esposizione alla sostanza, non esiste una dose assolutamente sicura. In seguito altre ricerche non hanno messo in evidenza danni al feto per basse dosi di alcol ma, data la rarità della sindrome, non hanno nemmeno potuto confermarne la sicurezza. In conclusione, una revisione sistematica di tutti gli studi effettuati, pubblicata nel 2017, ha stimato che, tra le donne che consumano alcol in gravidanza, una su 67 partorirebbe un neonato con danni compatibili con la FAS  (Tracey W Tsang, Elizabeth J Elliott High global prevalence of alcohol use during pregnancy and fetal alcohol syndrome indicates need for urgent action” The Lancet Global Health, Volume 5, Issue 3, March 2017, Pages e232-e233)

Caffé e altre bevande contenenti caffeina
La caffeina (o teina) è il principio attivo contenuto nel caffè (e nel té) ma anche in bevande come la Coca Cola e il Red Bull (in quest’ultimo caso in concentrazioni molto elevate). Appartiene alla classe delle metilxantine, come la teofillina e la teobromina, anch’esse contenute nel tè. Caffeina e teofillina sono sostanze psicostimolanti. A dosi moderate (1-3 tazzine di caffè, pari a 80-300 mg di caffeina) hanno effetto antifatica e risvegliante, migliorano la capacità di concentrazione e facilitano il lavoro muscolare. Inoltre, aumentano la diuresi, stimolano i centri respiratori midollari e rilassano la muscolatura liscia, specialmente a livello bronchiale (per questo motivo la teofillina, per la quale questo effetto è massimo, è stata utilizzata per contrastare le crisi d’asma). Le azioni di queste sostanze sul sistema cardiocircolatorio sono complesse e, a volte, antagoniste tra loro, con effetti finali che possono cambiare segno in base al dosaggi, alle condizioni del soggetto e al fatto che si tratti o no di un consumatore cronico. A dosi discretamente elevate producono tachicardia (aumento della frequenza cardiaca) e anche aritmie. Tutte le metilxantine possono causare nausea. Recenti revisioni della letteratura scientifica, tuttavia, dimostrano che il consumo di caffè sembra apportare più vantaggi che danni in maniera dose dipendente. In particolare l’assunzione da 3 a 4 tazze al giorno è associata (rispetto al non uso) ad una riduzione della mortalità generale (rischio relativo 0,83: vuol dire che, nello stesso arco di tempo, se nella popolazione generale cper ogni 100 decessi nella popolazione generale ce ne sono solo 83 tra i consumatori di caffè) e della mortalità per malattie cardiovascolari (0,81). L’alto consumo, confrontato con il basso consumo, è associato ad un rischio relativo di nuova diagnosi di cancro di 0,82 (Poole RobinKennedy Oliver JRoderick PaulFallowfield Jonathan AHayes Peter CParkes Julieet al. Coffee consumption and health: umbrella review of meta-analyses of multiple health outcomes   In gravidanza, tuttavia, rispetto alle donne con basso consumo di caffè quelle ad alto consumo presentano maggiori rischi di avere bambini piccoli per la data gestazionale, di nascite premature e di aborti. A dosi molto elevate (in genere raggiunte da consumatori di bevande industriali di cui spesso viene ignorato l’alto contenuto di caffeina) compaiono inoltre effetti tossici: vomito, disturbi gastrointestinali, insonnia, irritabilità, ansia, tremori, eccitamento, stato confusionale, aritmie (disturbi del ritmo del cuore), convulsioni, attacchi di panico. Alcune persone particolarmente sensibili (specialmente pazienti con attacchi di panico) possono sviluppare questi effetti anche in seguito all’assunzione anche di una sola tazza di caffè. In questi casi il rischio maggiore è quello che la diagnosi non venga posta correttamente e che il paziente sia trattato impropriamente per una inesistente malattia psichiatrica o, al contrario, che venga considerato un “malato immaginario”. L’uso cronico di caffeina, infatti, può indurre in soggetti predisposti, una sintomatologia indistinguibile dal disturbo generalizzato d’ansia e può produrre un disturbo del sonno persistente. La caffeina, ma soprattutto la teofillina, possono ridurre l’efficacia dell’analgesia da oppiacei. Non ci sono prove sulla loro efficacia nel contrastare l’ebbrezza alcolica. Agli effetti di caffeina e teofillina si instaura tolleranza. La sospensione brusca dell’assunzione di caffè (per esempio il sabato o nei giorni festivi, quando ci si alza più tardi) può provocare una sindrome d’astinenza caratterizzata da stanchezza immotivata, sonnolenza, ansia, apatia, umore depresso, difficoltà di concentrazione, dolori muscolari, nausea, cefalea. Le persone affette da emicrania possono manifestare un vero e proprio attacco (“cefalea dello week-end”) da sospensione di caffè. La possibilità di sviluppare una tossicomania da caffeina è stata confermata ed è considearta un probela dui slaute pubblica in vari paesi del mondo, ma, per ora, non in Italia (Jain, Shobhit et al.Caffeine addiction: Need for awareness and research and regulatory measures” Asian Journal of Psychiatry , Volume 0 , Issue 0 , 2017) anche se alcolisti, tabagisti, persone con altre tossicomanie, anoressici, pazienti psichiatrici presentano in media consumi di caffeina molto più elevati rispetto alla popolazione generale.

Oppiacei e oppioidi
In questa classe di analgesici (farmaci antidolore) sono compresi derivati del Papaver Somniferum (oppiacei, come l’oppio, la morfina, la codeina), derivati semisintetici come l’eroina (dietilmorfina), e oppioidi, cioè prodotti di sintesi, quali metadone, meperidina, propossifene, fentanil, ossicodone. Il meccanismo d’azione di queste sostanze è legato all’interazione con almeno 4 classi di recettori specifici (mu, kappa, delta e sigma), diffusi nel SNC e in altri organi bersaglio (tra cui il sistema immunitario), ciascuno dei quali sembra mediare un particolare tipo di effetti. L’individuazione dei recettori degli oppiacei ha permesso la sintesi e l’utilizzo clinico di farmaci ad effetto agonista parziale (cioè con lo stesso effetto degli oppiacei ma solo su un certo tipo di recettore) e/o agonista-antagonista (cioè con lo stesso effetto su certi tipi di recettori e con effetto opposto su altri tipi), quali la buprenorfina e la pentazocina e nonché di antagonisti puri (cioè con effetto opposto a quello degli oppiacei su tutti i tipi di recettori) quali il naloxone e il naltrexone. Attualmente il più importante oppiaceo d’abuso è ancora l’eroina, che può essere assunta sia per via inalatoria (sniffo) sia per via endovenosa. Da alcuni anni, tuttavia, sono sempre più frequenti le segnalazioni di casi di tossicomania da oppiodi prescritti a scopo analgesico come il fentanil o l’ossicodone. Negli Stati Uniti i decessi da farmaci oppiodi prescritti o prescrivibili superano ormai stabilmente i decessi da oppiaci illegali. I principali effetti degli oppiacei comprendono analgesia (cioè abolizione del dolore), senso di completo appagamento, sedazione, stato onirico (cioè uno stato mentale simile al sogno), stipsi dovuta a spasmo della muscolatura liscia (cioè a contrazione dei muscoli viscerali come quelli dell’intestino). A questi effetti si instaura tolleranza: ciò significa che, con una assunzione regolare, è come se il farmaco perdesse effetto. La tolleranza, però, è rapidamente reversibile. Perciò basta sospendere per alcuni giorni l’assunzione di oppiacei per riprendere l’originaria sensibilità ai loro effetti. Alla depressione respiratoria che si verifica a dosi a cui non si è (o non si è più) tolleranti sono attribuibili la maggioranza dei decessi per overdose. Gli oppiacei interagiscono in maniera complessa con il sistema immunitario, verso il quale sembrano comportarsi da immunomodulatori. Gli effetti potenzialmente immunodepressori rilevati negli studi in vitro non hanno trovato riscontro clinico. L’interferenza con il sistema endocrino può produrre temporanea impotenza nell’uomo, amenorrea nella donna e diminuzione del desiderio sessuale in entrambi i sessi. E’ importante tenere presente che tutti questi effetti sono reversibili e che alla maggior parte di essi si instaura tolleranza. Pertanto una donna in età fertile che assuma oppiacei e sia temporaneamente amenorrea non dovrebbe sospendere le misure contraccettive se non intende rimanere incinta, perchè la mestruazione si manifesta DOPO l’ovulazione e perciò la gravidanza potrebbe instaurarsi anche senza aver ancora visto la ricomparsa del ciclo. La sindrome d’astinenza da oppiacei si manifesta in persone dipendenti da eroina dopo 8-12 ore dall’ultima assunzione e in persone dipendenti da metadone dopo 24-48 ore. Può presentarsi con quadri di diversa gravità caratterizzati da ansia, irritabilità, smania, sonnolenza associata ad insonnia, midriasi (dilatazione delle pupille), lacrimazione, rinorrea (gocciolamento nasale), sudorazione profusa, scialorrea (salivazione abbondante), orripilazione ( pelle d’oca), nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, artralgie (dolori alle articolazioni). In soggetti predisposti possono verificarsi crisi epilettiche e aritmie cardiache. Nelle gravide si può verificare aborto o parto prematuro. Epilettici, cardiopatici e donne incinte dovrebbero pertanto evitare la sospensione brusca di oppiacei ed essere rapidamente inviati, qualora ciò si verificasse, ad un centro qualificato per la eventuale disassuefazione che non sempre in queste situazioni è indicata e che, in ogni caso, richiederà, di regola, l’utilizzo di dosi decrescenti di metadone. La maggior parte dei sintomi della sindrome d’astinenza regrediscono nel giro di alcuni giorni, mentre insonnia ed alterazioni dell’umore possono persistere per settimane. La sindrome d’astinenza da oppiacei può essere scatenata in soggetti con dipendenza fisica anche dall’assunzione di antagonisti, come naloxone e naltrexone, ed agonisti/antagonisti, quali buprenorfina o pentazocina. Gli oppiacei non sembrano avere effetti negativi sulla gravidanza mentre la sindrome d’astinenza può addirittura produrre un aborto. Perciò le donne incinte non dovrebbero sospendere bruscamente una sostanza oppioide. La capacità degli oppiacei di produrre tossicomania non dipende solo dal tipo di sostanza ma anche da fattori cronobiologici e dalle modalità (tempi e situazione) in cui vengono assunti. Per esempio, le persone trattate per breve tempo a scopo analgesico raramente sviluppano una tossicomania purchè l’analgesia venga mantenuta continuamente adattando opportunamente il dosaggio. Purtroppo qualche volta l’utilizzo di oppiacei in persone con dolore cronico non “terminale” (per esempio persone con dolore di origine ortopedica o reumatica), e che quindi si espongono a questi farmaci per anni, si risolve non solo in una perdita dell’effetto analgesico ma addirittura in un aumento del dolore (la cosiddetta iperalgesia da oppiacei). In questi casi più il paziente aumenta il dosaggio meno il dolore è controllabile e, addirittura, si sviluppa una ipersensibilità agli stimoli dolorosi anche al di fuori della condizione che aveva indotto ad assumere la terapia. In queste situazioni l’interessato può ricercare dosi sempre più elevate di farmaci come se fosse divenuto tossicomane. Si tratta invece di una pseudo-tossicomania che va trattata soprattutto spiegando al paziente quanto si sospetta sia avvenuto e proponendo interventi alternativi per il trattamento o, almeno, per la gestione del dolore. Nel 2016 l’Agenzia Italiana del Farmaco ha ripreso le indicazione dell’analoga agenzia USA (CDC) che raccomanda di non superare prescizioni di 3 giorni per il dolore acuto e limita le indicazioni per il dolore cronico non ocologico.

Cocaina e Amfetamine
La cocaina, tuttora usata, in alcuni paesi, come anestetico locale, è un estere dell’acido benzoico contenente una base azotata presente in natura nelle foglie delle piante di coca (Erithroxylon coca). La sua struttura chimica è analoga a quella di altri anestetici locali quali lidocaina e procaina. La forma più diffusa della sostanza è il sale cloridrato, che viene assunto per via nasale o, più raramente, per via parenterale (cioè per iniezione) o per via orale (cioè per bocca). La conversione alla base libera dà origine a un prodotto (“crack”), che può essere fumato, anche associato a tabacco, eroina o marjuana, e che raggiunge quasi immediatamente il cervello inducendo effetti di particolare intensità. La diffusione del crack è all’origine dell’epidemia di cocainismo verificatisi negli anni 80 negli Stati Uniti, che ha coinvolto, al suo apice, oltre 5 milioni di persone. La cocaina venduta sul mercato illegale può essere tagliata con altre sostanze farmacologicamante attive che, in certi casi, ne mimano anche alcuni effetti ma che sono meno costose come lidocaina, procaina, tetracaina, amfetamine, eroina, chinino, fenciclidina. Gli effetti farmacologici della cocaina sul cervello sono il motivo per cui viene assunta. Questa sostanza aumenta il senso di benessere, la sicurezza di sè, l’energia fisica e mentale, la tolleranza alla fatica, la capacità di concentrazione e le capacità psicomotorie. Riduce le emozioni negative, l’insicurezza e la stanchezza. Può avere effetti completamente opposti, anche nella stessa persona in diverse situazioni, sull’ansia e sulla paura. Gli effetti sulla psiche di dosi eccessive di cocaina sono invece molto spiacevoli: stato di allarme, ansia e panico, insonnia, iperattività inconcludente, anoressia (cioè assenza di fame), ideazione paranoide (la vittima crede di essere spiata, pensa che la gente parli di lei, teme di essere seguita), agitazione psicomotoria, allucinazioni, psicosi. La maggior parte dei consumatori, fortunatamente, non presenta mai questi sintomi. Come tutti gli psicofarmaci la cocaina agisce anche su organi diversi dal sistema nervoso centrale. L’assunzione, anche di dosi moderate, produce midriasi (dilatazione delle pupille), tachicardia (aumento delle frequenza cardiaca), ipertensione (aumento della pressione arteriosa), ipertermia (aumento della temperatura corporea), iperreflessia. Purtroppo l’assunzione di cocaina può dare origine, in maniera imprevedibile, anche a serie complicanze: emicrania (una particolare forma di mal di testa che la cocaina può curare ma anche scatenare), infarto, aritmie (gravi disordini del ritmo del cuore), emorragia cerebrale, infarto intestinale, convulsioni, granuloma facciale distruttivo, disfunzioni sessuali, morte improvvisa, atrofia della mucosa nasale. La frequenza di queste complicanze non è nota perchè non è noto il reale numero dei consumatori. In ogni caso la cocaina è certamente controindicata per chi è affetto da malattie cardiovascolari e da epilessia. E’ inoltre sconsigliata a persone soggette a depressione, emicrania o che abbiano problemi sessuologici: in questi casi, infatti, dopo iniziali apparenti miglioramenti si ha spesso un aggravamento del problema che diviene anche più difficile da trattare con le comuni terapie.  Assunta in gravidanza la cocaina non sembra produrre malformazioni. Però le donne che ne fanno uso presentano più spesso complicazioni, la più frequente delle quali è il distacco della placenta. Alcune possibili sequele dell’assunzione di cocaina sono ancora oggetto di studio. Certamente c’è una correlazione tra la pregressa assunzione di cocaina e lo sviluppo di attacchi di panico, depressione, patologie del comportamento alimentare, ma, data la difficoltà che si incontra ad effettuare studi a lungo termine su una sostanza illegale, non ci sono dati certi sulla frequenza di questi esiti. Sono ancora oggetto di indagini possibili danni cognitivi a lungo termine e altri sintomi psichiatrici. L’abuso o la dipendenza da cocaina peggiorano la prognosi a lungo termine di tutte le patologie psichiatriche, comprese le sindromi depressive. Con somministrazioni ravvicinate la tolleranza ad alcuni effetti acuti della cocaina può svilupparsi rapidamente. Meno noto è il fenomeno, opposto, della sensibilizzazione per cui la persona che si è esposta abbastanza a lungo alla sostanza presenta reazioni tossiche per quantità sempre più piccole. La sensibilizzazione si sviluppa specialmente per le convulsioni, l’insonnia, l’agitazione e le reazioni psicotiche. Dopo assunzione prolungata la sospensione della sostanza può dare luogo (ma non in tutti i casi) ad una sindrome d’astinenza caratterizzata da un quadro clinico complesso e di intensità molto variabile che si manifesta in prevalenza con sintomi depressivi (anche con idee suicidarie), sonnolenza, cefalea (mal di testa), iperfagia (fame), alterazione dei bioritmi. La cocaina può dare origine, in circa il 20% dei casi, a quadri molto gravi di tossicomania. Probabilmente l’insorgenza di tossicomania è condizionata da fattori genetici, dal tipo e dalla durata dell’esposizione alla sostanza e dai motivi dell’esposizione. Purtroppo, però, a tutt’oggi è impossibile prevedere chi svilupperà una tossicomania. La tossicomania da cocaina si presenta con almeno tre “modelli”; “abbuffate” seguite da “crolli” oppure necessità di assunzione quotidiana per molti anni, nonostante il danno evidente anche all’interessato, oppure frequenti episodi di assunzione massiccia senza scompenso psico-fisico. Queste diverse caratteristiche rendono più difficile per la vittima rendersi conto di quanto sta avvenendo. L’amfetamina, la metamfetamina e i loro derivati, classificate come amine ad attività simpaticomimetica, hanno effetti in gran parte sovrapponibili a quelli della cocaina. Sono state utilizzate inizialmente come broncodilatatori, anoressizzanti e antidepressivi ma attualmente non hanno alcuna indicazione clinica. Come la cocaina, sebbene attraverso un diverso meccanismo, agiscono sui sistemi dopaminergici e noradrenergici. Una specifica conseguenza dell’uso cronico di amfetamine in animali da laboratorio è la neurotossicità selettiva e forse irreversibile sui neuroni dopaminergici in varie aree cerebrali.

Cannabinoidi
I cannabinoidi sono composti derivati dalla Cannabis Sativa il cui principio attivo principale è il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). La Cannabis Sativa viene usata sotto forma di marijuana e hashish. La prima è costituita da foglie ed infiorescenza essiccate mentre l’hashish è la resina ottenuta attraverso procedimenti diversi. Questi composti vengono assunti per via respiratoria o, più raramente, per via orale. Gli effetti psicotropi dei cannabinoidi possono variare in base a fattori ambientali e individuali. Chi li assume può sperimentare senso di rilassamento, euforia, alterata percezione del tempo, depersonalizzazione. Ad alte dosi possono comparire allucinazioni, ansia, attacchi di panico e ideazione paranoide. Altri effetti comprendono tachicardia, iperemia congiuntivale, alterazioni della pressione arteriosa. Dati concernenti un possibile effetto immunosoppressivo non hanno avuto conferma clinica. L’uso cronico di questa sostanza è stato associato ad una sindrome amotivazionale che insorgerebbe in soggetti predisposti e che sarebbe caratterizzata da perdita di interessi, difficoltà di concentrazione, turbe della memoria, apatia. Nel 2002 uno studio pubblicato dal British Medical Journal (BMJ 2002;325:1195-1198 ) condotto in Australia su 1601 studenti dai 14 ai 15 anni seguiti per 7 anni dimostrò per la prima volta che l’uso frequente di cannabinoidi è direttamente associato ad un aumento di 5 volte delle frequenza di ansia o depressione nelle ragazze, indipendentemente da altri fattori. Uno studio svedese pubblicato sulla stessa rivista (BMJ 2002;325:1199) dimostrò l’associazione causale tra l’uso frequente di cannabis e l’aumento del rischio di schizofrenia. Il sistema diagnostico per le malattie mentali DSM-IV (dal 2013 sostituito dal nuovo e molto contestato DSM 5) introdusse, alcuni anni fa,  la diagnosi di dipendenza da cannabinoidi anche se l’esistenza di un tale quadro clinico per molto tempo non è stata universalmente accettata. Negli ultimi anni, tuttavia, probabilmente anche in conseguenza della comparsa sul mercato illegale di prodotti con alta percentuale di principi attivi, tutti i paesi europei segnalano un aumento dei casi di persone che si rivolgono ai servizi per le tossicodipendenze presentando i criteri per la dipendenza da cannabinoidi. Da un altro punto di vista i cannabinoidi possiedono anche proprietà antiemetiche (cioè riducono la nausea e il vomito), analgesiche e antianoressizzanti (cioè stimolano l’appetito). 

Uso terapeutico della cannabis

Oltre agli effetti sopra descritti sulle persone sane (compreso il miglioramento dell’umore, ricercato anche da soggetti depressi) la cannabis, come altri derivati vegetali, è considerata da secoli un prodotto con proprietà analgesiche, miorilassanti, antiemetiche e “ricostituenti”. Ancora nel 1887 (13) il professor Raffaele Valieri, illustre medico all’Ospedale degli Incurabili di Napoli, ne consigliava l’uso per isterismo, asma, enfisema polmonare, emicrania, gozzo esoftalmico, nevralgie, ipercinesia facciale. I successivi provvedimenti legislativi, volti a contrastare l’utilizzo ricreativo dei cannabinoidi vietandone la produzione, facilitarono la selezione di varietà con caratteristiche adatte al mercato illegale e, per reazione, portarono molti cittadini a coltivare in proprio piante destinate all’automedicazione (14). Ciò riaccese l’attenzione di aziende farmaceutiche e centri di ricerca farmacologica che portarono allo sviluppo di specialità medicinali poi gradualmente inserite nella farmacopea di vari paesi tra cui anche l’Unione Europea, dave da anni è previsto l’uso a scopi terapeutici di composti quali il dronabinolo e il nabilone per l’anoressia e la cachessia associate ad AIDS e come antiemetici in pazienti sottoposti a chemioterapia antineoplastica. Inoltre, dato che riducono la pressione oculare, ne è stato proposto l’uso per il glaucoma. Chi avesse necessità di queste terapie in Italia può, fin dal 1997, ottenere i farmaci registrati in altri paesi in base a quanto disposto dal Decreto Ministeriale 11-2-1997 Modalità di importazione di specialità medicinali registrate all’estero“. Alcune regioni rimborsano, a determinate condizioni,  il costo di questi medicinali. Con Decreto Ministero della Salute 23 gennaio 2013 , inoltre, sono stati inseriti nella tabella 2 del DPR 309 del 1990 (e quindi sono prescrivibili) i medicinali di origine vegetale a base di cannabis (sostanze e preparazioni vegetali, inclusi estratti e tinture).  Con il Decreto del Ministero della Salute 9 novembre 2015 ( “ Funzioni di organismo statale per la cannabis previsto dagli articoli 23 e 28 della convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972”  GU n. 279 del 30-11-2015 pp 16-25 ), infine, sono state fornite ulteriori indicazioni per l’utilizzo della cosiddetta “cannabis terapeutica”. Attualmente quindi sono disponibili sul mercato illegale o legale: a) prodotti che presentano concentrazioni variabili di principi attivi (Zamengo L, et al. Variability of cannabis potency in the Venice area (Italy): a survey over the period 2010–2012. Drug testing and analysis, 2014, 6.1-2: 46-51) con netta tendenza all’aumento del THC, b) prodotti derivati da coltivazioni per uso personale di cui non è possibile stabilire la composizione media c) specialità medicinali o preparazioni magistrali legalmente derivati da coltivazioni regolamentate dal D.M. 9-11-2015 o legalmente importati. Per intuibili motivi, gli effetti dei cannabinoidi utilizzati legalmente a scopo terapeutico non sono perfettamente sovrapponibili agli effetti delle sostanze illegali, così come, del resto, avviene per i farmaci ad azione oppioide rispetto all’eroina da strada.  Nell’allegato tecnico, parte integrante del citato Decreto che regolamenta la coltivazione di piante di cannabis a scopi medicinali, si citano, con relativa ampia bibliografia,  le seguenti possibili indicazioni dei preparati magistrali: analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore, come sclerosi multipla e lesioni del midollo spinale, resistente alle terapie convenzionali;  analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace; effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali; effetto stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard; effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali; riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard. Nello stesso documento si rileva che, da un lato gli studi effettuati sul rapporto rischio beneficio e sull’efficacia dei cannabinoidi nelle patologie citate non sono conclusivi dall’altro che “non ci sono altrettante informazioni (rispetto all’uso ricreazionale) sull’uso medico della cannabis”. Pertanto la prescrizione di preparati magistrali, da assumere per via orale o inalatoria, è consentita secondo le indicazioni dell’articolo 5, commi 3 e 4 della legge 94/1998 . Sta quindi al medico prescrittore acquisire il consenso informato del paziente ed individuare, caso per caso, a sua discrezione, dosaggi e vie di somministrazione più adeguati. Al momento, ferma restando la possibilità di importazione di specialità medicinali registrate all’estero secondo i dettami del DM 11 febbraio 1997, l’unica specialità medicinale a base di cannabinoidi disponibile nelle farmacie (ma prescrivibile solo da centri ospedalieri e specialisti neurologi) è il Sativex spray orale, contenente THC e cannabidiolo o CBD (sostanza senza effetti psicotropi). L’unica indicazione approvata è la spasticità da moderata a grave dovuta alla sclerosi multipla, anche se è sempre possibile la prescrizione off label nei limiti della citata legge 94/1998. Anche in questo caso il dosaggio è lasciato alla valutazione clinica del medico. Nel foglio illustrativo  ( Sativex foglio illustrativo ) messo a disposizione da AIFA il 10 giugno 2016 sono indicati come effetti indesiderati comuni o molto comuni: “capogiri o senso di stanchezza, depressione, confusione, agitazione o perdita di contatto con la realtà, problemi di memoria o difficoltà di concentrazione, sonnolenza o stordimento, vista offuscata, difficoltà a parlare, mangiare più o meno del solito, cambiamento del senso del gusto o bocca secca, stitichezza o diarrea, sentirsi o avere la sensazione di star male, problemi alla bocca, fra cui bruciore, dolore o ulcere, mancanza di energia o senso di debolezza o di malessere generale, sentirsi anormali o ebbri, perdita di equilibrio o cadere”. Sono invece indicati come rari: allucinazioni, idee deliranti, ideazione suicidaria, lipotimie, alterazioni dei parametri cardiovascolari, reazioni locali.  Seguendo la procedura prevista dal D.M. 11-2-1997 e successive modifiche  è poi possibile, come si è detto, importare altre specialità medicinali disponibili all’estero a base degli analoghi prodotti sintetici dronabinolo (Marinol, Dronabinol) e nabilone (Cesamet). Al di là dei documenti ufficiali (prodotti sia in base alla letteratura scientifica che alle pressioni dell’opinione pubblica), due recenti revisioni della letteratura han provato a definire lo stato dell’arte in tema di trattamenti con cannabinoidi. In una revisione sistematica pubblicata nel 2014 (Coppel, Barbara S., et al. Systematic review: Efficacy and safety of medical marijuana in selected neurologic disorders Report of the Guideline Development Subcommittee of the American Academy of Neurology. Neurology, 2014, 82.17: 1556-1563) Coppel e colleghi concludevano che sono necessarie ulteriori ricerche, con studi controllati randomizzati, per determinare l’efficacia di questi farmaci. Rilevavano inoltre, rispetto al placebo, percentuali sempre superiori di abbandono per reazioni avverse (prevalentemente di tipo neuropsichiatrico) e segnalavano un decesso potenzialmente correlato alla terapia (crisi comiziale seguita da polmonite ab ingestis). In una revisione clinica comparsa invece nel 2015 a cura di Hill (Hill, Kevin P. Medical marijuana for treatment of chronic pain and other medical and psychiatric problems: a clinical review. Jama, 2015, 313.24: 2474-2483) si conclude che ci sono evidenze per l’utilizzo di questi farmaci per nausea, stimolazione dell’appetito, dolore cronico e spasticità ma che i benefici dovrebbero essere considerati soprattutto in relazione ai rischi di disturbi psichiatrici. Inoltre una recente revisione sistematica della letteratura sull’impatto dell’uso medico di cannabis e cannabinoidi sulla qualità della vita non ha potuto dimostrare associazioni significative anche se alcuni pazienti con dolore cronico e sclerosi multipla hanno riferito piccoli miglioramenti e alcuni pazienti con HIV hanno riferito lievi peggioramenti ( Goldenberg, Matthew, et al. “The impact of cannabis and cannabinoids for medical conditions on health-related quality of life: A systematic review and meta-analysis.” Drug & Alcohol Dependence 174 (2017): 80-90). Infine una revisione sistematica pubblicata nel 2017 non ha potuto dimostrare l’efficacia della cannabis per il dolore cronico, eccettuata una limitata evidenza per il dolore neuropatico, ma con aumento del rischio di reazioni psichiatriche ( Nugent SM, Morasco BJ, O’Neil ME, Freeman M, Low A, Kondo K, et al. “The Effects of Cannabis Among Adults With Chronic Pain and an Overview of General Harms: A Systematic Review. “Ann Intern Med. [Epub ahead of print 15 August 2017] doi: 10.7326/M17-0155) Rispetto ai possibili benefici e rischi dell’uso medico dei cannabinodi, attenzione andrebbe però dedicata anche alle interazioni con altri farmaci. E’ stato per esempio segnalato l’effetto analgesico sinergico con oppiacei nel dolore cronico (Abrams, D. I., et al. Cannabinoid–opioid interaction in chronic pain. Clinical Pharmacology & Therapeutics, 2011, 90.6: 844-851) ma sono anche note (ed indicate nelle schede tecniche dei vari preparati) interazioni che aumentano il rischio di effetti indesiderati o reazioni avverse con varie classi di psicofarmaci. Per quanto riguarda il disturbo post-traumatico da stress una revisione sistematica pubblicata nell’agosto 2017 conclude che non ci siano evidenze di efficacia della cannabis nel ridurre i sintomi (O’Neil ME, Nugent SM, Morasco BJ, Freeman M, Low A, Kondo K, et al. Benefits and Harms of Plant-Based Cannabis for Posttraumatic Stress Disorder: A Systematic Review. Ann Intern Med. [Epub ahead of print 15 August 2017] doi: 10.7326/M17-0477 ). Sono tuttavia in corso due studi randomizzati che si concluderanno entro 3 anni e di cui si attende l’esito.

Allucinogeni
Anche se molti farmaci sono in grado, in determinate condizioni, di indurre allucinazioni, il termine allucinogeni viene generalmente utilizzato per indicare una serie di sostanze del tipo della dietilamide dell’acido lisergico (LSD), della mescalina e della psilocibina che presentano tra loro tolleranza crociata. Tutte queste sostanze, chimicamente eterogenee, sono accomunate dalla proprietà di produrre alterazioni della percezione, del pensiero e dell’emotività simili a quelli che si verificano negli stati onirici o negli stati di trance o di estasi mistiche. Più che veri e propri stati allucinatori questi effetti possono considerarsi distorsioni dell’attività mentale e della percezione per cui parrebbe più appropriato per questi composti il termine “psichedelici”. L’azione psichedelica sarebbe mediata dall’interazione con il recettore 5-HT2 della serotonina. Altri effetti comuni a queste sostanze sono quelli di tipo simpaticomimetico quali midriasi, ipertensione, tachicardia, piloerezione, iperflessia. Tolleranza comportamentale (cioè capacità da parte della persona intossicata a gestire gli effetti della sostanza , che però rimangono invariati) si instaura dopo alcune dosi. Non è stata tuttavia rilevata una sindrome d’astinenza né sono noti casi di assunzione compulsiva cronica. Il principale effetto avverso dovuto all’assunzione di allucinogeni è il cosiddetto “bad trip”, descrivibile come un episodio di panico della durata di varie ore, durante il quale la vittima sperimenta gravi distorsioni cognitive (per esempio pensa di morire o di dissolversi nell’universo). Il 15% dei consumatori riferisce inoltre il ripresentarsi di effetti allucinogeni in assenza dell’assunzione della sostanza (“flashback”), anche dopo anni di astinenza. In individui predisposti gli psichedelici possono precipitare la manifestazione di stati psicotici latenti o dare origine a psicosi tossiche persistenti. E’ stata anche descritta una sindrome caratterizzta da alterazioni persistenti nella percezione dei colori.

“Designer drugs”
Sono stati inizialmente indicati con questo termine composti sintetici chimicamente eterogenei, che non essendo ancora inclusi nelle tabelle delle sostanze d’abuso, potevano essere commercializzati senza rischi legali non ostante il potenziale tossicomanico. Il primo caso di questo genere è stato il fentanil (“China White”) potente analgesico con proprietà simili a quelle dell’eroina. Attualmente si indicano come “designer drugs” prevalentemente derivati amfetaminici. Fra questi i più noti sono: la metamfetamina commercializzata nella sua forma cristallina (“ice”), la metilendiossiamfetamina (MDA) o “love drug” per l’umore “benevolo” che produce, la metilendiossimetamfetamina (MDMA), nota come “ecstasy”. Quest’ultimo composto ha avuto grande diffusione in Italia come droga socializzante e ricreativa. L’ecstasy viene assunta per via orale sotto forma di compresse. Induce un aumento dell’attività fisica, un miglioramento dell’umore e della capacità d’interazione sociale, una diminuita percezione della fatica, della fame e della sete. Tra gli effetti indesiderati sono stati riportati secchezza delle fauci, tachicardia, insonnia, termolabilità. Non sono segnalate dipendenza, assunzione compulsiva, tolleranza, sindrome d’astinenza. Sono state invece riportate reazioni acute anche mortali caratterizzate da ipertermia, turbe respiratorie e cardiovascolari, rabdiomiolisi, coagulazione intravasale disseminata. Relativamente frequente una grave disidratazione favorita dalla contemporanea assunzione di alcolici come uniche bevande. In modelli animali inoltre la MDMA si è dimostrata selettivamente neurotossica sui neuroni serotoninergici.  Il GHB (acido gammaidrossibutirrico, noto come ecstasi liquida, gamma-oh, scoop, droga dello stupro) è una sostanza introdotta, e tutt’ora usata in alcuni paesi, tra cui l’Italia, come terapia dell’alcolismo (il nome commerciale del farmaco è Alcover). Informazioni in inglese sul sito http://www.projectghb.org/

Barbiturici, benzodiazepine e “Z drugs”
I barbiturici e le benzodiazepine appartengono al gruppo dei sedativi ipnotici cioè agenti che deprimono il SNC producendo, a dosi crescenti, sedazione, sonnolenza, sonno, perdita di coscienza, anestesia, coma, depressione respiratoria. I barbiturici sono attualmente utilizzati quasi esclusivamente come antiepilettici e in anestesia. Il loro meccanismo d’azione viene ricondotto all’interferenza facilitatoria con il recettore dell’acido gammaminobutirrico (GABA), un neurotrasmettitore di tipo inibitorio. Le benzodiazepine sono attualmente i farmaci più prescritti come ansiolitici, ipnotici, anticonvulsionanti e miorilassanti. Il loro meccanismo d’azione dipende dall’interazione con almeno tre tipi di specifici recettori che modulano allostericamente i recettori GABAergici. Rispetto ad altri sedativi le benzodiazepine sono farmaci relativamente sicuri: i loro effetti depressori sul sistema respiratorio e cardiovascolare infatti sono solo parzialmente dose dipendenti. Anche dosi elevate perciò portano raramente al decesso a meno che non siano in causa effetti additivi di altre sostanze quali alcool e oppiacei. Il flumazenil, un imidazobenzodiazepina è l’antagonista specifico utilizzabile, in ambiente ospedaliero, in caso di sovradosaggio. Poiché le benzodiazepine sono farmaci sintomatici e non eliminano eventuali disturbi cronici psichiatrici o neurologici per cui vengono prescritte la loro sospensione può essere associata a una ripresa dalla sintomatologia di base (ansia, insonnia, crisi comiziali). E’ stata tuttavia descritta una sindrome “rebound”, caratterizzta da ansia, insonnia, irritabilità, depressione che insorge anche per sospensione di dosi terapeutiche, dura alcuni giorni o alcune settimane ed è interamante dovuta all’effetto del farmaco e non a problemi psicologici preesistenti. L’uso di sedativi-ipnotici in assenza di precisa diagnosi è molto frequente sia nella popolazione generale sia tra alcolisti e dipendenti da altre droghe come sostituto della sostanza d’abuso primaria o come terapia dei sintomi astinenziali. Le benzodiazepine tuttavia possono dare anche quadri di dipendenza primaria in genere associati a tolleranza farmacologica e grave sindrome d’astinenza. Gli effetti comportamentali dell’intossicazione cronica da sedativi sono molto simili a quelli dell’alcolismo: torpore, turbe della memoria e dell’attenzione, labilità emozionale, rallentamento e impaccio dell’eloquio, incoordinazione motoria. L’esperienza clinica inoltre suggerisce che aggressività e idee paranoidi siano più frequenti di quanto indicato in letteratura. Sebbene il farmaco più spesso chiamato in causa nel nostro paese sia il flunitrazepam, di fatto tutte le benzodiazepine possono indurre dipendenza e provocare episodi paradossi, in particolare in soggetti con anamnesi positiva per tossicodipendenza e alcolismo. La sindrome d’astinenza da sedativi può rappresentare un’emergenza medica: si manifesta da uno a dieci giorni dopo la sospensione del farmaco con ansia, insonnia, turbe neurovegetative, crisi comiziali, delirio, allucinazioni. L’astinenza da barbiturici può comportare anche ipertermia, collasso cardiocircolatorio ed esito fatale. Un altro gruppo di farmaci di questo tipo, inizialmente presentati dai produttori come un’alternativa “sicura” a barbiturici e benzodiazepine, sono le imidazopiridine (zaleplon, zolpidem detti anche “Z drugs“). Purtroppo questi farmaci, in genere prescritti per l’insonnia, hanno dimostrato gli stessi rischi delle benzodiazepine con casi di dipendenza ed alterazioni del comportamento anche molto gravi.    

Altre sostanze d’abuso
La fenciclidina (PCP, polvere degli angeli) è un’arilcicloexilamina inizialmente utilizzata come anestetico dissociativo con minimi effetti deprimenti cardiorespiratori. Produce allucinazioni, eccitazione, senso di benessere. Può indurre, anche a basse dosi, comportamento aggressivo e una sindrome psichiatrica sovrapponibile alla schizofrenia. La PCP interagisce sia con il recettore sigma degli oppiacei sia con un recettore per gli aminoacidi eccitatori chiamato NMDA. Gli studi in corso sul suo meccanismo d’azione promettono di chiarire alcuni aspetti della patogenesi degli stati psicotici e dell’attività di farmaci come l’aloperidolo. La PCP può essere assunta per via orale, nasale, respiratoria e parenterale. In modelli animali la PCP induce dipendenza, tolleranza e sindrome d’astinenza. Mancano tuttavia studi sull’uomo anche perché la diffusione di questa sostanza è attualmente in rapido declino negli Stati Uniti, mentre non sembra aver mai raggiunto livelli significativi in Europa. Un analogo della PCP, la Ketamina è tuttavia impiegata come anestetico ed è soggetta ad abuso anche nel nostro Paese. Gli anestetici (es., ossido nitroso, etiletere, cloroformio), e i solventi (tricoetilene, toluene, acetone) sono gruppi di sostanze facilmente assunti allo scopo di alterare lo stato psichico. Data la grande eterogeneità di questi composti non è possibile descriverne dettagliatamente gli effetti. Basterà sottolineare che qualunque alterazione non spiegata dello stato psichico di una persona, specialmente se associata a sintomatologia organica, dovrebbe far sospettare un’origine tossica del quadro clinico ed indurre opportuni approfondimenti. Gli steroidi anabolizzanti rappresentano un altro gruppo di farmaci per i quali sono segnalati fenomeni d’abuso e di dipendenza. Oltre ai possibili danni a carico di vari organi e apparati queste sostanze sembrano in grado di indurre una vera e propria sindrome tossicomanica mediata da effetti psicotropi quali euforia, aumento della libido, dell’autostima, dell’aggressività e riduzione del sonno e della percezione della fatica. Sono state inoltre segnalate sindromi francamente psicotiche. Ulteriori studi sono necessari per definire completamente il quadro clinico di questa forma di abuso.

Prima redazione 1999, ultimo aggiornamento 1 dicembre 2017

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