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Usi e abusi

Comunità terapeutiche

Cos’è la comunità terapeutica

Il ricovero in comunità terapeutica è uno dei metodi di intervento utilizzati per dare risposta al problema della tossicodipendenza. Il concetto di “comunità terapeutica” nacque nel secolo scorso nell’area della cosiddetta “antipsichiatria”, un movimento scientifico e politico fortemente critico nei confronti della psichiatria tradizionale, considerata  priva di basi scientifiche e funzionale solo alla repressione dei comportamenti “devianti” dagli interessi del sistema sociale dominante  attraverso la loro patologizzazione. “Terapia è cambiamento, non adattamento” era uno degli slogan del movimento che, quindi, proponeva, in opposizione alla comunità “patogena” rappresentata da diagnosi, farmaci e psicoterapie, una comunità “terapeutica” caratterizzata da sani rapporti umani con attenuazione delle differenze di ruolo tra ospiti e operatori, uniti da un forte impegno verso il cambiamento sociale. La comunità Kingsley Hall, a Londra, fu nel 1965 il primo esperimento concreto in questo senso. La spinta “rivoluzionaria” di queste metodologie si è ormai quasi del tutto esaurita e oggi la maggior parte delle comunità terapeutiche collaborano “in rete” con tutte le altre strutture sanitarie. Questi programmi vengono solitamente consigliati a chi ha vissuto un forte coinvolgimento con le sostanze stupefacenti e ha organizzato intorno ad esse e al loro reperimento la propria vita. Sono strutture e ambienti sociali che si presentano come uno strumento per vivere nuove esperienze ed appropriarsi di nuove conoscenze, dove l’ospite viene coinvolto direttamente nella gestione e vede riconosciuta la propria capacità di decidere, di interagire con altri e di maturare.  Il gruppo degli ospiti è  unito dalla motivazione al cambiamento dello stato di disagio personale e sociale causato dall’abuso di sostanze stupefacenti. Lo scopo dichiarato è spesso la crescita personale del soggetto, attraverso il costituirsi di rapporti sociali che gli permettono di attivare risorse ed abilità, per il raggiungimento di quelle potenzialità individuali che lo potranno condurre sulla strada dell’autonomia e della responsabilizzazione.  Si tratta quindi di un intervento sul versante educativo che si pone come obiettivo la partecipazione attiva, la responsabilizzazione dell’utente e il raggiungimento della consapevolezza dei propri sentimenti, pensieri, impulsi e comportamenti. La comunità terapeutica cerca oggi di aiutare le persone ospiti a ripercorrere positivamente, in una situazione accogliente, stimolante, il proprio cammino di crescita verso l’autonomia. Tale obiettivo si costruisce attraverso il rafforzamento reciproco dei membri del gruppo che avendo vissuto la stessa esperienza possono aiutarsi a risolvere i problemi e puntare ad uno stile di vita diverso, libero da sostanze stupefacenti, da comportamenti devianti, con l’acquisizione di una visione più realistica di sé e del mondo.

Caratteristiche della comunità terapeutica

  • Residenzialità: obbligo di svolgere il programma terapeutico riabilitativo presso la sede della Comunità, interrompendo legami ed abitudini con il precedente ambiente di vita e mantenendo con lo stesso solo rapporti regolamentati dai programmi della Comunità;
  • Dinamica di gruppo: vita di gruppo guidata, dove si apprendono nuovi modi di vita attraverso i rapporti interpersonali e la discussione sul proprio modo di agire;
  • Modificazione del proprio sistema di vita e di valori: necessità di affrontare i nodi della personalità del soggetto e/o rapporto con la società.

I Ser.T. invitano ad un intervento comunitario quando il paziente è effettivamente intenzionato ad affrontare il problema della tossicodipendenza cambiando il proprio stile di vita e quando esistono ragioni personali, ambientali, strutturali o di opportunità che rendono impossibili o probabilmente inefficaci altri tipi di intervento non residenziali.

I programmi comunitari

Esistono realtà comunitarie molto diversificate.  In alcune comunità gli ospiti vengono accolti dopo la disintossicazione da farmaci e droghe. Nella maggior parte dei casi, invece, a differenza di quanto avveniva in passato, vengono accolti anche soggetti in terapia farmacologica.  Alcune comunità terapeutiche, anche per la spinta dei criteri di accreditamento imposti dalle Regioni che pagano le rette, ritengono indispensabile avvalersi di professionisti (Psicologi, Educatori, Supervisori…) altre invece pensano che sia molto più proficuo lavorare solo con e per le persone che convivono fra loro. La durata dei programmi varia da un minimo di quattro settimane ad un massimo di tre anni. Alcune comunità, pur avendo un tempo di massima stabilito, si orientano sui progressi del soggetto, altre invece hanno tempi rigidi, altre ancora non hanno limiti di tempo; in quasi tutte esistono delle fasi sulle quali si basa la progressiva concessione di autonomia ma esistono diversità sui tempi e sulle modalità delle tappe. Diversità si riscontrano anche nella fase di dimissione, dove in genere, il soggetto è comunque accompagnato con interventi volti a favorirne un positivo reinserimento sociale. In molte comunità vengono effettuati controlli tossicologici periodici a sorpresa per controllare l’eventuale assunzione di sostanze stupefacenti. L’uso di sigarette, alcolici, caffè ecc. viene regolamentato anche se con misure diverse. Ogni C.T. tiene conto delle aspirazioni e degli interessi dei singoli soggetti inseriti incoraggiando le attività ricreative, formative, di studio e di attività esterna e vengono favoriti momenti di riflessione su aspetti psicologici, morali e spirituali. Molte strutture organizzano attività ed interventi che coinvolgono i familiari del soggetto: si va da incontri obbligati già da prima dell’ammissione e/o durante il percorso, ad incontri facoltativi, a strutture che non hanno nessun rapporto con i familiari.

Qual’è il programma migliore?

 Il trattamento in comunità ha insuccessi ed abbandoni in misura analoga ad altri tipi di intervento ma, per l’impegno che richiede, viene spesso caricato di forti aspettative positive.  L’esperienza suggerisce quindi di scegliere la comunità il cui programma maggiormente si adatta ai problemi ed ai bisogni di chi la richiede. Questa valutazione richiede la conoscenza delle varie comunità.  In genere i Ser.T sono in possesso di una mappa di comunità con relative caratteristiche ed orientano e affiancano il soggetto nella decisione.

Le procedure per un inserimento in comunità

Due sono le principali modalità per effettuare un inserimento in comunità:

  • il soggetto interessato contatta direttamente la struttura;
  • il soggetto interessato prende contatti con il Ser.T per l’inserimento.

Se la comunità non richiede il pagamento di una retta o se il pagamento viene effettuato direttamente dall’interessato la prima modalità è certamente più veloce. Occorre però considerare che in questo settore si sono verificati molti abusi, saliti anche agli onori della cronaca nera, e che, quindi, potrebbe essere utile consultarsi in ogni caso con un servizio che abbia esperienza in questo ambito.  Se invece, come avviene di regola, è richiesta una retta all’ente pubblico è di fatto indispensabile rivolgersi ad un Ser.T/SMI. Anche se la legge 309 del 1990 sembra garantire il libero accesso alle comunità su tutto il territorio nazionale, infatti, la maggior parte delle Regioni richiedono che l’appropriatezza del ricovero venga certificata da un Servizio Pubblico o da uno SMI (i servizi privati analoghi ai SERT esistenti, per ora, solo in Lombardia). Inoltre i sistemi di pagamento possono comportare dei limiti all’inserimento in strutture al di fuori della propria regione.  L’inserimento in comunità accreditata (cioè una comunità che ha i requisiti richiesti dalla regione per poter chiedere una retta) deve quindi , di fatto, essere preceduto da  una valutazione  dell’équipe medico-psico-sociale che deve stabilire se presenta i requisiti per la certificazione dello stato di tossicodipendenza, presupposto indispensabile per accedere al finanziamento, e quale tipologia di trattamento residenziale è idonea al sua caso. Attraverso la figura dell’Assistente Sociale ci si accerta poi che il soggetto abbia ben chiaro cosa può ottenere dalla comunità, quali sono gli obiettivi, e quali i metodi adottati. La persona viene anche informata sulle regole di cui la comunità chiede il rispetto e può infine sottoscrivere il consenso informato al programma prescelto.   Prima dell’ammissione potrà essere concordato tra il servizio inviante e la struttura un programma congiunto per il raggiungimento degli obiettivi definiti. La richiesta di inserimento in comunità terapeutica dovrà essere accompagnata dalla documentazione di carattere medico, psicologico e sociale che motivi la scelta del programma e della struttura. Nel caso in cui il soggetto si presenti direttamente presso una struttura accreditata dovrà comunque essere inviato al Ser.T./SMI  per le valutazioni sopra descritte e la retta potrà essere corrisposta solo nel caso che abbiano esito positivo e non retroattivamente. In tutti i casi, qualora il Ser.T/SMI  non ritenga indicato l’inserimento in comunità dovrà fornire al richiedente un parere scritto, motivato nel dettaglio da un punto di vista tecnico, da cui emergano con chiarezza le ragioni del rifiuto e la proposta di un programma alternativo.

a cura di Elena Maurizzi, Aggiornato da Mariagrazia Fasoli il 19 settembre 2013

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