Come spiegato in altra pagina di questo sito, le sostanze in grado di produrre dedizione hanno tutte come bersaglio il cervello. Il cervello è l’organo deputato a raccogliere, attraverso il sistema nervoso, ma probabilmente anche attraverso segnali ormonali e immunitari, le informazioni che provengono al nostro organismo dall’ambiente interno (per esempio il danno di un organo o un’infezione) ed esterno (per esempio i segni grafici che state leggendo, la temperatura della stanza in cui siete o la voce della vostra ragazza), ad “interpretarli” (trasformandoli in percezioni, sensazioni, emozioni, codici biochimici) e a produrre delle risposte (riflessi, risposte immunitarie e ormonali, sentimenti, idee, comportamenti). Il comportamento di una persona tossicomane è quindi il risultato dell’effetto “dedittivo” della sostanza che ha causato dipendenza ma anche della personalità sottostante, di credenze, emozioni, abitudini, condizionamenti ambientali. Tutti questi fattori possono influire sull’andamento della dedizione sia in senso positivo che in senso negativo. Questo spiega perché situazioni esistenziali, come cambiare paese, sposarsi, convertirsi a una nuova religione, possono a volte risolvere e altre volte scatenare il problema per alcuni anni o per sempre. Avviene lo stesso per altre malattie: basti pensare che fino a pochi anni fa le Alpi erano costellate di sanatori dove le persone colpite da TBC nei quartieri poveri e sovraffollati delle grandi città europee spesso guarivano grazie al cambiamento di clima, di ambiente e di abitudini, anche in assenza di antibiotici efficaci contro il bacillo di Koch. E’ per questi motivi che i primi provvedimenti proposti per le dipendenze furono di tipo “rieducativo” (compresi il carcere, il riformatorio, il manicomio criminale e, persino, interventi punitivi “fai da te” ). Alcuni di questi interventi, effettivamente, furono seguiti da più o meno lunghe remissioni del problema. Del resto, ciascuno di noi ha sentito raccontare di persone che hanno smesso di fumare in seguito ad uno stress, ad una improvvisa malattia che le ha spaventate o anche dopo aver picchiato un pugno sul tavolo. Se però, come è stato fatto, confrontassimo un certo numero di questi casi con un uguale numero di soggetti con lo stesso problema, ma che non avessero seguito nessun “metodo” constateremmo che le percentuali di successi e di insuccessi non cambiano. Esistono invece una serie di interventi, basati sulle nostre conoscenze scientifiche e cliniche, che danno percentuali di successo più elevate rispetto a quanto avviene casualmente. Tutti questi metodi hanno l’obbiettivo di controllare il sintomo cardine della dedizione che è la smania (“craving”), ma anche di agire sull’intero quadro clinico che il paziente presenta e sui risvolti personali e sociali ad esso correlati. Per alcuni di questi metodi esistono studi controllati, per altri ci sono solo ampie casistiche cliniche. In tutti i casi, le terapie per le tossicomanie non sono semplici tentativi di “redenzione” basati sulla “buona volontà” del paziente, ma partono dal presupposto che ci si trovi di fronte ad una vera disfunzione in cui l’adesione al programma da parte dell’interessato è sicuramente necessaria, ma non sempre sufficiente ad ottenere il risultato voluto. E’ tuttavia molto importante tenere presente che, in questo ambito, qualunque trattamento interagisce non solo con la fisiologia, ma anche con la psicologia e con il sistema di valori dell’interessato. I criteri di valutazione, perciò, fanno riferimento anche all’accettabilità e alla praticabilità del programma in un determinato contesto personale e sociale (così come avviene, per esempio, per i contraccettivi) e non solo ai suoi effetti specifici (come avviene invece per gli antibiotici). In questa sezione diamo una descrizione dei principali metodi utilizzabili per la terapia delle dedizioni.
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Psicoterapie (in costruzione)
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Aggiornato il 9 settembre 2014 da Mariagrazia Fasoli